Verso la fine degli anni settanta, come
tanti compaesani, ho lasciato Ottana, il mio paese natio, per
lavoro. Nel bagaglio per il "continente", come ogni sardo,
ho portato con me un attaccamento morboso alla mia isola e le sue
tradizioni.
Già da qualche anno avevo cominciato a scolpire il legno, scoprendo
una particolare passione per le maschere dei "Merdules"
che caratterizzano il carnevale di Ottana.
Lo stare fuori, anche se per pochi anni, ha accresciuto questa mia
passione perché ogni volta che lavoravo ad una maschera, mi sentivo
un po’ più vicino a casa.
Nello scolpire le maschere dei Merdules, con i loro contorni rudi,
tristi e seriosi che man mano affioravano sotto lo scalpello,
rivedevo i lineamenti conosciuti, scolpiti anch’essi ma dagli anni
e dalla fatica, dei pastori e contadini che verso l’imbrunire
rincasavano dopo una giornata passata in campagna.
Sembrava di sentirne anche le voci.
Quando poi scolpivo la stella e le foglie del "boe" (il
bue), rivedevo le scene ormai lontane, ma sempre nitide nella mente,
di quando da bambino assistevo alla sfilata "de sos boes mudaos"
(i buoi vestiti a festa).
Era primavera e per un giorno sia l’uomo che l’animale
dimenticavano le fatiche e le sofferenze della vita. Era una gara a
chi adornava meglio il proprio carro ed il suo giogo di buoi, con
ghirlande di fiori di ogni colore.
Ne sentivo quasi il profumo.
Queste sensazioni riaffiorano sempre quando scolpisco e tento di
trasferirle nelle mie maschere sperando di trasmetterle, anche in
minima parte, a chi le osserva.
Con le mie opere, intendo inoltre contribuire nel mio piccolo a
tenere viva questa antica tradizione di Ottana e della mia Sardegna. |